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Lavorando con il corpo, ci occupiamo moltissimo di vergogna. Per Reich l’emergere della sensazione di vergogna era l’indicatore primario dell’esistenza di un blocco. Inoltre, uno degli ostacoli al lavoro corporeo è spesso un sentimento di vergogna che ostacola l’esplorazione del vissuto corporeo ed emotivo.
Phil Helfaer nel suo lavoro “Sex and Self-Respect, The Quest for Personal Fulfillment (1998) affronta la questione della vergogna in una prospettiva bioenergetica- Per Helfaer il rispetto di sé è un concetto corporeo che permette di comprendere il sentimento della vergogna.
Il rispetto di sé, per Helfaer, non è un concetto psicologico. Il rispetto di sè significa essere in contatto con i propri sentimenti e con i propri stati corporei, permettendosi di lasciarsi guidare da essi. E’ espressione della vitalità e dello scorrere della propria energia vitale. Riflette la capacità di essere pienamente in contatto con se stessi e con il mondo esterno. La nostra capacità di rispettarci può però essere sopraffatta da richieste irrealistiche e da immagini grandiose. Può essere minato da sentimenti di bassa autostima, come da altre sfumature della vergogna: l’odio di sé, umiliazione, senso di fallimento, di inadeguatezza e di mancanza di indipendenza.
Per prima cosa definiamo l’autostima: esprime quello che pensiamo di noi stessi, il valore che ci riconosciamo, l’insieme di capacità e caratteristiche che ci attribuiamo.
Quello che emerge da tutti gli studi è che una scarsa autostima non permette un rapporto sereno con se stessi e in generale inficia la realizzazione dei nostri progetti e il nostro senso di soddisfazione. Inoltre, non ci fa sentire all’altezza delle situazioni che viviamo e delle relazioni in cui ci troviamo. Quando abbiamo poca autostima la nostra mente ripete spesso frasi come: “Non mi piaccio, non valgo nulla, non ce la farò mai, combino sempre guai, non conto nulla, sono un idiota ecc.
Per avere una buona autostima, la prima cosa da fare è piacersi diventando amici di noi stessi. In altre parole, smettere quella continua autocritica sabotante che senza accorgerci erode in modo davvero sostanziale la nostra energia e ci abbatte, ci fa tenere un basso profilo. Infatti, ogni volta che ci critichiamo, che ci giudichiamo severamente o addirittura ci disprezziamo, rafforziamo un circolo vizioso di riduzione dell’autostima.
Cominciamo a riconoscere le nostre qualità, i nostri talenti e a sviluppare nei nostri confronti un atteggiamento incoraggiante e comprensivo!
Per esempio, proviamo a dire insieme: ” Sono sicuro di me”;
“Mi piaccio”
“Piaccio agli altri”
“Mi voglio bene”
“Sono una bella persona”
Come ci fa sentire? Superato il disagio iniziale dovuto alla mancanza d’abitudine, la sensazione è piacevole, ci fa sentire bene.
Tutti siamo stati feriti, il che significa che potenzialmente siamo tutti guaritori feriti in formazione.
Il guaritore ferito è quella parte profonda alla base del processo stesso della guarigione. La figura del guaritore simbolicamente ferito ci rivela che solo se affrontiamo, sperimentiamo consapevolmente e attraversiamo la nostra ferita possiamo riceverne la benedizione.
Per essere un guaritore ferito non è necessario essere stati feriti in modo esplicito da un trauma specifico: infatti, venire feriti in un qualche modo fa parte della natura umana. Siamo interconnessi con l’intera realtà e siamo portatori d’un pezzo della ferita collettiva che è codificata olograficamente nel campo della coscienza collettiva. Il nostro rapporto con la ferita – come la portiamo – determina se l’archetipo sottostante del guaritore ferito ci porta ad essere uno dei suoi strumenti viventi.
Quando entriamo in contatto con la ferita, invece d’interpretare la cosa come conferma della nostra identità di essere umano ferito, possiamo riconoscere la momentanea apparizione della ferita come la sua stessa rivelazione liberatoria, una prospettiva che al tempo stesso ci permette di non venirne intrappolati.
La chiave sta nello sperimentare consapevolmente la nostra ferita senza identificarci con essa.
Forse abbiamo sbagliato tutto! Quando andiamo oltre la paura ed entriamo nella curiosità scopriamo che la malattia è la saggezza del corpo che agisce nel proprio modo straordinariamente personale.
Ci sono le etichette: depressione, cancro al seno, Hashimoto … Non sono solo parole, hanno potere perché sostenute culturalmente da convinzioni legate ai segni e ai sintomi osservati. C’è un elenco che viene continuamente diffuso e che continuiamo a imparare di cosa attiva la paura. Perché è un problema preoccuparci? Preoccuparci ci fa davvero ammalare?
Conosciamo l’effetto placebo, cioè guarire con una pastiglia di zucchero o grazie a una relazione. Esiste però anche l’effetto “nocebo”: l’essere danneggiati dalle proprie aspettative in base al potere delle convinzioni. Per esempio, se siamo convinti che un farmaco non ci farà bene perché abbiamo visto che faceva male a persone che conosciamo potremmo avere più effetti collaterali.
Quindi, le nostre convinzioni condizionate culturalmente sul danno e la nostra vulnerabilità possono condizionare la nostra fisiologia. Potrebbe essere allora che l’esperienza della paura abbia seminato i sintomi che eventualmente verranno diagnosticati come malattia?
In realtà sappiamo dagli anni ‘90 della psico-neuro-immunologia, cioè dei collegamenti fra sistema immune psiche e cervello.
Se pensiamo che sintomi e malattie hanno un significato e che il corpo ha una saggezza innata, dobbiamo smettere di combattere e di vederci come vittime che dipendono da un sistema nel quale le risposte sono fuori di noi.
La tiroidite di Hashimoto è una forma di ipotiroidismo che secondo molti studiosi è estremamente diffusa ma che viene diagnosticata poco perchè di solito si misura solo il valore dell’ormone TSH, mentre ci sono almeno altri 4 valori che indicano in maniera approfondita il funzionamento della tiroide.
Fra i sintomi ci sono: ansia, depressione e attacchi di panico, capelli che cadono, viso e lingua gonfi, vertigini, spossatezza, poca lucidità, aumento di peso e difficoltà a perderlo, cisti ovariche e problematiche ginecologiche.
Le cause sono molteplici: dalle infiammazioni e infezioni alle carenze nutritive dovute al malassorbimento intestinale, dalle tossine ambientali allo stress malgestito.
La cosa interessante è che esistono metodi di cura naturali per la disintossicazione della tiroide ed il riequilibrio ormonale basati su un’alimentazione priva di cibi infiammanti, il riequilibrio delle vitamine D e B12, della ferretina e del magnesio e l’uso di tecniche di rilassamento quali le visualizzazioni guidate e lo yoga.
Per approfondire https://thyroidpharmacist.com
Un vademecum per prenderci cura del nostro cervello: