Bioenergetica e voce
Bioenergetica e voce
La voce ci accompagna da sempre, spesso però sentiamo che non ci corrisponde. Abbinando bioenergetica ed espressione libera della voce possiamo aprirci a nuove sensazioni, sciogliere blocchi ed esprimere parti inconsce di noi stessi.
Lavoriamo a tre livelli: corporeo, emozionale e mentale con l’obiettivo di integrarli.
Ogni individuo struttura nell’infanzia un sistema di sopravvivenza che rappresenta un compromesso con l’ambiente. Da questo deriva l’armatura, un sistema di contrazioni croniche non consapevoli create per sopravvivere.
Il cambiamento profondo che si vuole ottenere in terapia è la “resa al corpo”: sentire realmente il nostro corpo e non ciò che pensiamo che dovrebbe essere. Diventiamo consapevoli delle nostre tensioni muscolari, dalla testa ai piedi, cercando di capire la loro storia e anche la funzione che tali contrazioni croniche hanno nel momento attuale della nostra viva.
In questo processo di cura la voce ha una funzione essenziale poiché legata al respiro e all’espressione di sentimenti ed emozioni, primaria per la nostra comunicazione ed interazione col mondo. La voce è una delle tre forme principali di espressione, insieme al movimento e agli occhi.
La voce produce vibrazioni nel corpo e per recuperare il proprio potenziale di autoespressione è importante acquistare il pieno uso della voce in tutti i suoi registri.
La voce è strettamente legata ai sentimenti. La sua liberazione comporta la mobilitazione di sentimenti repressi e la loro espressione nel suono.
Ciascun soggetto ha diversi suoni per diversi sentimenti: la paura e il terrore sono espressi in un grido, la collera in un tono alto ed acuto, la tristezza espressa con una voce profonda e singhiozzante, il piacere e l’amore in suoni morbidi e tubanti.
Il lavoro col suono connette ai sentimenti ed è meno soggetto al controllo della mente. Quando la voce è libera viene dal cuore ed esprime realmente i nostri sentimenti. Portiamo anche l’attenzione a tensioni croniche che formano anelli di contrazione e restringono le corde vocali:
1. la bocca: serrare la bocca per bloccare ogni comunicazione di sentimento; irrigidire la mascella per impedire ai suoni di uscire;
2. l’articolazione del capo con il collo: area critica poiché di transizione tra controllo volontario e involontario. La faringe e la bocca sono nella parte anteriore, l’esofago e la trachea in quella posteriore. L’organismo ha controllo cosciente su tutto ciò che è in bocca e nella faringe, ma dall’esofago in poi il sistema è involontario. Questa zona è importante dal punto di vista emozionale e spesso si creano blocchi che impediscono la respirazione;
3. articolazione tra collo e torace: questo anello di tensione protegge l’apertura verso la cavità toracica e il cuore.
È importante, quindi, scoprire a che livello sono le tensioni croniche che non fanno esprimere e risuonare la voce vera e libera di ognuno di noi.
Uno strumento espressivo per me fondamentale è il mantra Ruah Elohim.
È una meditazione in cui risuonano le parole Ebraiche “Ruah Elohim”. Facciamo esperienza del suono, di queste parole e del loro significato. “Ruah” significa “Respiro vitale”, “Elohim” significa “Dio”, o “Unità”, nel senso della “unità degli opposti”, quali per esempio “pioggia e sole” o “estate e inverno”. Quindi il significato ha a che fare con la sintesi, l’unità degli opposti. Nel dare voce a questo mantra usiamo il respiro, la voce e le parole per trovare la nostra essenza, il posto nel quale i nostri opposti interiori si incontrano e sono uniti.
La meditazione purificatrice ed auto-guarente con questo mantra non è in alcun modo legata alle istituzioni religiose: è un’opportunità per ascoltare ed esprimere la nostra essenza più intima, un’esperienza in cui un gruppo di persone s’incontra allo scopo di entrare in contatto con le proprie parti sacre superando l’illusione di essere separati.
Siamo capaci d’incontrare gli altri senza fonderci con loro? Riusciamo ad apprezzare che siamo unici e preziosi ma non separati dall’intero universo? L’immagine che mi viene in mente è quella delle onde del mare: ognuna è diversa e unica, ma è anche parte d’un qualcosa di più grande. Disponiamo della possibilità di condividere quest’esperienza, con l’opportunità d’imparare come fare a rimanere con noi stessi mentre siamo in mezzo agli altri. Nel corso delle nostre vite, raffiniamo l’arte di non esistere esclusivamente dentro noi stessi né esclusivamente con gli altri, riuscendo a sperimentare le due condizioni contemporaneamente.
L’ esperienza del Ruah è unità di suoni, parole e respiro con corpo, mente e spirito. Nei miei seminari, cominciamo dal corpo nel senso bioenergetico, con esercizi di grounding e di centratura: ci apriamo ad un atteggiamento interiore di non giudizio rilassando il corpo, perché quest’atteggiamento di non giudizio richiede anche uno stato fisico. E’ una disposizione d’animo difficile da mettere in pratica, e richiede un allenamento continuo perché significa restare aperti a tutto quello che sentiamo senza subito fuggire pensando cose come “Questo è sbagliato” o “Questo è giusto” o “Questo è cattivo”. Significa rimanere a contatto con quello che emerge invece di quello che pensiamo di dover sentire o quello che ci aspettiamo di provare. Veniamo incoraggiati a non forzarci ma a darci il permesso di esplorare la verità interiore.
Con questa pratica ci prendiamo cura di noi stessi. Cominciamo ad intuire che esiste un altro modo di crescere, oltre quello imparato dai genitori o da qualche figura rappresentante l’autorità. Per questo, anche se abituati a contrarci, a chiedere scusa a noi stessi, a cercare d’occupare il più piccolo spazio possibile, ci prepariamo ad incontrare tutto ciò che arriverà.
Cominciamo a credere in noi stessi, a percepire i nostri corpi in modo compassionevole e ad ascoltare il nostro sé interiore. L’intera esperienza si basa su quello che incontriamo e quanto proviamo.
Nella pratica ci teniamo per mano: siamo dentro di noi e anche insieme ad altre persone. Unire le mani è un’occasione per sentire il contatto, e cosa significano dare e ricevere. Ci è più facile dare che ricevere? Riusciamo a dare senza sentire che ci stiamo sacrificando, includendo noi stessi nel nostro dare? E quando riceviamo, ci sentiamo in debito? Dobbiamo essere degni per poter ricevere? Possiamo ricevere liberamente?
Facciamo qualche respiro profondo e poi, nel corso dell’espirazione, vocalizziamo le parole “Ruah Elohim” dal nostro centro; continuiamo a ripeterle, lasciando che i suoni e il flusso di parole vadano dove vogliono. Non ha a che vedere con il cantare, piuttosto con il dare voce e forza alla nostra parte più profonda, sincronizzarsi con il canto degli altri non è importante in quanto ognuno canta secondo il ritmo del proprio respiro. Anche se inizialmente le voci non sono coordinate, di solito verso la fine si raggiunge un’armonia spontanea.
Attraverso questi suoni stabiliamo un dialogo libero e profondo con noi stessi, sostenuto dai suoni emessi dagli altri partecipanti. Facciamo uso della voce, del respiro, della centratura, degli intenti, e della forza dell’energia delle lettere. Infatti, l’ebraico antico viene considerato una delle poche lingue le cui lettere hanno un valore energetico. Tutto questo contribuisce ad aprire degli spazi dentro di noi e ad evocare esperienze profondamente significative.
Il mantra ci aiuta a recuperare le nostre emozioni dalle profondità dei nostri corpi. Le vibrazioni create dall’espressione ripetuta del Ruah all’interno dei nostri corpi aiutano a dissolvere le nostre difese fisiche e psicologiche e spesso entriamo in contatto con esperienze del passato: questa meditazione può attivare ricordi, immagini e sensazioni che appartengono alla nostra memoria più antica, quella che rimane ben difesa all’interno dei nostri corpi e che è la memoria che avevamo quando eravamo bambini molto piccoli, prima che imparassimo a parlare.
Il suono vibra in ogni parte di noi, specialmente dove serve per guarire. Man mano che il respiro diventa pieno, il suono diventa più ricco e leviga i sentieri in cui l’energia è bloccata.
Il canto termina in modo naturale e poi rimaniamo in silenzio, ascoltando.
Si verifica quasi sempre una luminosità, un rilassamento in ciascuno per aver assorbito nuove esperienze e nuove idee su cosa è possibile. Abbiamo fatto esperienza di comunità e abbiamo vissuto noi stessi in un nuovo modo, e ce ne andiamo via sentendoci di buon umore.
Di solito si realizza un processo d’intimità di gruppo nella condivisione. Grazie ad un ambiente di non giudizio, nel quale ci si sente al sicuro e si può sperimentare una maniera sana di essere sostenuti e collegati, parliamo della nostra esperienza senza temere critiche o analisi. In questo modo possiamo integrare l’esperienza nelle nostre vite quotidiane.
È così che facciamo crescere le radici di una spiritualità che diventa un modo di vivere e di percepire il mondo: una spiritualità basata su un senso profondo di tutti ciò che esiste, sulla corrispondenza fra interno ed esterno, e sull’interconnessione fra tutte le cose.